Per decenni i rubinetti sono stati praticamente tutti uguali: acciaio lucido, qualche volta satinato. Al massimo, se si voleva qualcosa di più ricercato, si sceglieva una finitura oro o ottone, ma sempre dentro un perimetro preciso. Erano scelte sicure, neutre, che stavano bene ovunque. Non si parlava di stile, si parlava di funzionalità. Dovevano durare, funzionare, sparire nel contesto.
Poi qualcosa è cambiato. Oggi il rubinetto nero opaco è quasi ovunque. L’oro spazzolato è tornato, ma più elegante. I colori pastello iniziano a vedersi non solo nei cataloghi di nicchia ma anche nei negozi. Verde salvia, rosa cipria, blu polvere, finiture ramate, bronzi opachi. È come se anche un oggetto tecnico, com’era il rubinetto, adesso volesse dire la sua. E questa nuova libertà ha aperto tante possibilità, ma anche qualche problema. Perché l’effetto è forte, ma la coerenza stilistica conta. E spesso, quando si esagera o si sbaglia l’abbinamento, lo si paga.
Il rubinetto non è più quello di una volta: perché oggi si scelgono anche colorati
Il fascino dei rubinetti colorati sta tutto in quella prima impressione: cambiano faccia al bagno o alla cucina in un attimo. Basta un dettaglio così e l’ambiente diventa più personale. È il motivo per cui tanti interior designer li propongono, soprattutto in spazi minimalisti o nordici, dove le forme sono pulite e servono pochi elementi mirati. Ma serve equilibrio. Perché se è vero che il rubinetto può dare carattere, è anche vero che può stonare subito se l’ambiente intorno non regge il passo.

I materiali contano molto. Un rubinetto nero opaco funziona bene con superfici in cemento, legno chiaro, lavabi in ceramica bianca. Fa un bel contrasto. Ma se lo metti in una cucina classica con top in marmo lucido e ante sagomate, rischia di sembrare fuori posto. Lo stesso vale per l’oro satinato: perfetto se ripreso da piccoli dettagli come le maniglie, i profili di uno specchio, magari una lampada in tinta.
Nella cucina la sfida è ardua. Qui il rubinetto deve reggere anche l’usura quotidiana più intensa. Il colore deve avere una resistenza reale. Per esempio, un rubinetto bianco opaco può sembrare elegante in una cucina total white, ma tra unto, schizzi e detersivi, può diventare difficile da mantenere. Il nero, invece, regge meglio ma mostra facilmente i segni del calcare se l’acqua è dura. La scelta, quindi, deve tenere insieme estetica e uso pratico. E questo vale ancora di più se si punta su tonalità più particolari, come il verde oliva o il rosa.

Ci sono stili che accolgono meglio queste finiture. Lo stile industriale, ad esempio, si presta molto a rubinetti in nero opaco o bronzo scuro, soprattutto se abbinati a lavabi in pietra, pareti grezze o piastrelle metro. Il japandi, invece, lavora su toni naturali e caldi, quindi l’ottone spazzolato o il rame vanno alla grande, ma senza esagerare. In un contesto retrò o anni ’70, si possono osare i pastelli, purché siano inseriti in una palette coerente. Ma in una casa classica, con mobili in legno scuro o finiture dorate lucide, certi colori rischiano di creare stacchi troppo forti, poco armonici.
Un colore che oggi piace potrebbe stancare presto. Per questo, molti progettisti consigliano di usare il colore con moderazione. Magari solo sul rubinetto del lavabo, lasciando neutri quelli della doccia o del bidet. Oppure si può fare una prova in un bagno secondario, dove si può rischiare di più senza compromettere l’insieme della casa. Alla fine, il rubinetto resta un oggetto tecnico. Deve funzionare, durare, non solo apparire. Ma se si trova il punto giusto tra estetica e coerenza, può diventare davvero un dettaglio che fa la differenza.