Nell’arredo ci sono tensioni che non si risolvono, si abbracciano. Una delle più sottili è quella tra superfici lucide e opache. Non è solo un tema di estetica, ma di percezione. Il lucido chiama, l’opaco risponde. Il primo riflette, amplifica, attira l’occhio. Il secondo trattiene, smorza, fa da pausa. Non si escludono, si cercano. E quando si trovano nello stesso ambiente, creano qualcosa che ha equilibrio e carattere insieme. Non serve esagerare, basta saperli ascoltare. La loro differenza, se trattata bene, non stona ma danza.
Chi progetta interni lo sa. I materiali hanno voce, ma è la finitura che le dà tono. Lucido e opaco sono come due strumenti diversi: da soli funzionano, ma è insieme che fanno melodia. Il trucco non è opporli, ma sovrapporli con intenzione. Non si parla solo di contrasto visivo. C’è un senso tattile, una profondità mentale che entra in gioco. E in un mondo visivamente saturo, l’attrazione tra opposti diventa un modo elegante per rimettere ordine.
Quando le superfici si parlano: lucido e opaco come linguaggio progettuale
Nel progetto di uno spazio, l’equilibrio non è sempre simmetrico. È fatto di tensioni, di piccoli squilibri dosati con cura. Lavorare con superfici lucide e opache significa scegliere come condurre lo sguardo. Il lucido attira e accelera, l’opaco rallenta e stabilizza. Un mobile laccato, in un contesto di pareti assorbenti, si stacca e diventa elemento guida. In uno spazio coerente ma troppo uniforme, basta una finitura lucida per rompere la noia.

In cucina, questo gioco funziona bene per costruire dinamismo verticale. Alternare ante lucide in alto con quelle opache in basso – o viceversa – aiuta a distribuire il peso visivo. Il lucido sopra alleggerisce, apre. L’opaco sotto ancora. È come costruire un paesaggio stratificato: serve una base stabile e un punto di fuga. Ma non basta solo invertire le finiture. Bisogna osservare come cade la luce, quali volumi dominano, quali si perdono.

Nei bagni il principio è lo stesso, ma ancora più efficace perché si lavora su superfici continue. Un rivestimento lucido a parete può sembrare solo una scelta pratica, ma se abbinato a un pavimento opaco crea uno spazio più strutturato. Non visivamente piatto, ma nemmeno eccessivo. Il lucido riflette, dilata. L’opaco ancora, stabilizza. Anche qui, meglio evitare stacchi netti, molto più raffinato restare nella stessa gamma cromatica e lasciare che sia la luce a raccontare la differenza.

La zona notte è forse il luogo dove l’alternanza di finiture ha l’effetto più emotivo. Una parete opaca, soprattutto se in un colore profondo, crea intimità. Se davanti a quella parete c’è una testiera lucida – magari laccata o in pelle trattata – la luce si rifrange e alleggerisce il blocco visivo. Una superficie liscia e riflettente, accanto a una che assorbe, crea una tensione che tiene vivo l’insieme. Anche un comodino con un piano lucido accanto a una lampada soft touch può bastare.
Ma è nel living che si può osare un po’ di più. Qui il contrasto lucido-opaco può essere gestito a scala più ampia. Pareti con pittura opaca e mobili con superfici specchiate o laccate creano profondità. Questo gioco, se calibrato bene, permette anche di ridurre visivamente gli ingombri. Un tavolo in vetro lucido circondato da sedute in tessuto grezzo alleggerisce tutto l’ambiente. Niente sembra troppo, eppure ogni elemento è ben presente.
Il contrasto tra lucido e opaco funziona quando è guidata da un’intenzione chiara e da uno sguardo allenato. Serve pensare in termini di tensione, di pieno e vuoto, di ritmo visivo. Non si tratta di scegliere da che parte stare, ma di capire che l’uno esiste in funzione dell’altro. Così come la luce non ha senso senza ombra, il lucido non ha forza senza l’opaco accanto.