La questione delle telecamere condominiali solleva sempre numerosi dubbi tra proprietari e amministratori.
Tra esigenze di sicurezza e tutela della privacy, non sempre è chiaro quando sia necessaria l’autorizzazione dell’assemblea e quando invece il singolo condomino possa agire autonomamente. La normativa italiana ha introdotto regole specifiche proprio per bilanciare questi interessi contrapposti. Comprendere la differenza tra videosorveglianza privata e condominiale diventa fondamentale per evitare contenziosi e sanzioni.
La distinzione principale riguarda le aree riprese: se le telecamere inquadrano spazi comuni o proprietà private. A seconda di questa variabile, cambiano completamente gli obblighi normativi. Approfondiamo quindi cosa prevede realmente la legge, quali sono le maggioranze necessarie per deliberare e quando è possibile installare telecamere senza il consenso dell’assemblea.
Videosorveglianza sulle parti comuni: quando serve la delibera assembleare
Quando si tratta di installare telecamere che riprendono le aree comuni del condominio, la delibera assembleare diventa obbligatoria. L’articolo 1122-ter del Codice Civile, introdotto con la riforma del 2012, stabilisce chiaramente i requisiti. Per procedere legittimamente serve l’approvazione della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio, quindi almeno 500 millesimi.

Le parti comuni oggetto di videosorveglianza possono includere ingressi, scale, androni, cortili, parcheggi e il perimetro esterno dell’edificio. Una volta approvata la delibera, il condominio deve nominare un responsabile del trattamento dei dati personali, spesso coincidente con l’amministratore. Questo soggetto avrà il compito di garantire il rispetto della normativa privacy, supervisionare le modalità di conservazione delle registrazioni e gestire eventuali richieste di accesso alle immagini.
È inoltre obbligatorio installare cartelli informativi ben visibili che segnalino la presenza delle telecamere, indicando il titolare del trattamento dati. Le registrazioni devono essere conservate per un periodo limitato, generalmente 24-48 ore, salvo esigenze investigative specifiche che richiedano tempi superiori.
Telecamere private: nessuna autorizzazione necessaria con precise limitazioni
Il singolo condomino può installare telecamere private senza alcuna delibera assembleare, purché rispetti rigidi vincoli sulla zona inquadrata. La Cassazione ha più volte ribadito questo principio, confermando che l’assemblea non può imporre la rimozione di telecamere legittime. La condizione fondamentale è che l’angolo di ripresa rimanga circoscritto alla proprietà esclusiva del proprietario: porta d’ingresso, balcone, garage o posto auto.
È ammessa una ripresa marginale e inevitabile di spazi comuni come il pianerottolo antistante la porta, ma solo nella misura strettamente necessaria. Risulta invece vietato inquadrare proprietà altrui, finestre dei vicini, interi corridoi o aree destinate al passaggio collettivo. Recenti sentenze, come quella del Tribunale di Catania del 2025, hanno chiarito che per queste installazioni private non sono necessari nemmeno i cartelli di avvertimento, poiché il trattamento ha finalità esclusivamente domestica.
Tuttavia, gli esperti consigliano comunque di informare preventivamente gli altri condomini per evitare incomprensioni e possibili contestazioni. In caso di dubbi sull’ampiezza dell’inquadratura, è sempre opportuno consultare un tecnico specializzato o verificare con l’amministratore la conformità dell’installazione alle normative vigenti.






