Quando si parla di abuso edilizio sembra che tutto ruoti intorno a costruzioni selvagge, villette sul mare tirate su senza permesso, verande chiuse “tanto non se ne accorge nessuno”. Dietro gli abusi ci sono anche storie molto diverse, più intime, drammatiche, fatte di famiglie che vivono in case che non avrebbero mai dovuto esistere, e che però sono l’unico tetto possibile. A volte sotto quel tetto vive anche qualcuno che sta molto male.
E allora viene spontaneo chiedersi: è giusto buttar giù tutto anche se dentro ci vive una persona con una grave patologia? Si può fermare la ruspa davanti a un letto? La Corte di Cassazione, con una sentenza fresca di fine giugno 2025, è tornata sull’argomento e ha risposto con parole che fanno discutere.
Demolizione o diritto alla salute? Quando il buon senso si scontra con la legge
Tutto è cominciato a Napoli, dove una donna ha chiesto di sospendere la demolizione della sua casa perché dentro ci vive la figlia, affetta da una forma grave di autismo. Il tribunale le aveva dato ragione, ma la storia è arrivata in Cassazione che ha ribaltato tutto, decidendo che no, la casa andrà comunque demolita, malattia o no.

La Corte ha spiegato che la salute è un diritto, sì, ma non può da sola impedire che venga rispettata la legge urbanistica, che in parole semplici significa che un abuso resta un abuso anche se chi ci vive ha dei problemi di salute importanti. Non è cattiveria, spiegano i giudici, ma il risultato di un principio: quello della legalità.
Il punto è che l’ordine di demolizione, una volta diventato definitivo, non si può più mettere in discussione. Il giudice che si occupa di farlo eseguire può, al massimo, decidere di posticiparlo se ci sono motivi seri, tipo un problema sanitario, ma non può cancellarlo.
I giudici sono stati molto chiari anche su un altro punto: vivere in una casa abusiva, anche se è l’unica che si ha e anche se chi ci abita è malato, non significa che si ha il diritto di rimanerci per sempre. Neanche la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che pure tutela la vita familiare e la salute, può servire da scudo in questi casi.
Il diritto all’abitazione, insomma, conta ma non è assoluto, va messo sul piatto insieme ad altri interessi come quello di vivere in città più sicure, più ordinate, meno improvvisate.
In un’Italia dove il confine tra il lecito e l’illegale è spesso sottile e pieno di giustificazioni, questa sentenza fa un po’ da sveglia collettiva. Non basta più appellarsi al cuore, alla compassione o al buon senso del giudice: la legge, anche quando suona fredda e distante, va rispettata. Se ci sono malati gravi il giudice potrà magari dare un po’ di tempo in più prima che parta la demolizione, ma l’ultima parola, comunque, è già scritta.