Il giardino più bello d’Inghilterra ha fatto scappare 11 giardinieri. E non è solo colpa del Re - designmag.it
C’è un giardino in Inghilterra dove nulla cresce per caso. Ogni fiore, ogni prato, ogni bordo di siepe è frutto di una scelta. E di una mano esperta. O più mani, almeno fino a poco tempo fa. Highgrove House, la residenza amata da Re Carlo III, è un capolavoro di paesaggismo organico, un esempio vivente di giardinaggio etico e biodiverso. Ma dietro questa bellezza incontaminata, dietro ogni stelo che sbuca al posto giusto, c’è un lavoro quotidiano, preciso, fisico. Ed è proprio questo che, negli ultimi tempi, ha portato molti giardinieri a fare le valigie.
Il numero che gira tra i corridoi del palazzo è difficile da ignorare: 11 su 12. Una squadra quasi al completo che, nell’arco di pochi mesi, ha lasciato il giardino più celebrato del Regno Unito. Le ragioni non sono semplici e non sono nemmeno solo una. A Highgrove, si lavora con l’idea che il giardino sia un organismo vivente, e questa visione ha i suoi pregi ma anche le sue fatiche. La cura maniacale per i dettagli, l’assenza di pesticidi, le scelte stilistiche del Re, il tutto condito da risorse non sempre proporzionate.
A prima vista Highgrove è puro incanto. I prati punteggiati di orchidee spontanee, le siepi potate con una precisione quasi architettonica, i giardini tematici che cambiano carattere a ogni svolta del sentiero. Ma basta andare oltre la superficie per scoprire che tutto questo splendore si regge su un sistema di regole, aspettative e ritmi che sfiorano l’estenuante.
Il Re segue tutto personalmente, dalle varietà piantate ai colori predominanti di stagione. Ogni pianta viene scelta, annotata, valutata. E poi arriva la nota scritta a mano, magari su un piccolo cartoncino, con un’osservazione su una fioritura poco armoniosa o una richiesta di ripiantumazione.
L’attenzione maniacale al dettaglio non riguarda solo l’estetica. Highgrove è noto per la sua adesione rigorosa ai principi del giardinaggio organico. Questo significa no a pesticidi e fertilizzanti sintetici, sì a rotazione delle colture, raccolta manuale dei semi, compostaggio, sfalcio a mano. In pratica, tutto ciò che altrove viene delegato a macchine o prodotti chimici qui è ancora affidato alle mani. Serve tempo, serve forza, serve conoscenza. E quando il personale non è numeroso, ogni compito pesa il doppio.
Non è un caso che molte delle aree più affascinanti di Highgrove, come lo Stumpery o il Wildflower Meadow, richiedano una cura che va oltre la normale manutenzione. Parliamo di microclimi, di terreni che vanno letti e interpretati di settimana in settimana, di armonie tra fioriture che non si possono improvvisare. Per i giardinieri significa tenere il passo con un ecosistema in costante evoluzione, con la pressione aggiuntiva di uno sguardo regale sempre vigile.
Il coinvolgimento diretto di Re Carlo, per quanto animato da una profonda passione, aggiunge un ulteriore strato di complessità. Non è solo un padrone di casa con gusti precisi, è un sovrano con una visione botanica articolata, che si aspetta che il giardino parli il suo linguaggio. Questo comporta un confronto continuo, spesso silenzioso, tra l’esecuzione e l’aspettativa. E quando a tutto ciò si somma una retribuzione piuttosto bassa e una carenza strutturale di personale, il quadro diventa piuttosto chiaro.
Highgrove rimane un esempio unico di paesaggismo etico e poetico. Ma è anche un monito. Un giardino non si regge solo sulla bellezza dei suoi fiori, ma sul benessere di chi li cura. Quando l’armonia del luogo si ottiene al prezzo dell’equilibrio umano, forse qualcosa va ripensato. Anche i giardini, come gli organismi viventi, hanno bisogno di bilanciamento. Non solo tra le specie vegetali, ma anche tra le energie che li rendono possibili.